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le mille luci di marco pollice

le mille luci di marco pollice

fonte: http://storiereali.blogspot.it/2014/05/storiereali-presenta-intervista-marco.html?m=1

“I colori oramai non sono più pigmenti, sono luci. Noi viviamo almeno il sessanta per cento della nostra giornata in mezzo a luci colorate. I casi sono due: o ci spariamo, perché non sopportiamo questa disumanità del paesaggio che ci circonda, oppure ci viene voglia di capire che cosa possiamo farne” Ettore Sottsass

Oggi i passaggi tra le espressioni artistiche sono fluidi, non esistono linee di demarcazione tra scultura, pittura, architettura e design. Chi opera in questi territori senza confini, come Marco Pollice, riconosce che gli ambiti di ricerca e di progettazione si sono amplificati: dall’oggetto all’abitazione, dalla città fino al paesaggio urbano e alla dimensione sociale. Come auspica, in anticipo sui tempi, il grande teorico prima che designer Ettore Sottsass, non si può eludere l’impatto psicologico, prima che estetico, che le invenzioni e i progetti urbani hanno sulla comunità intera.

La luce è stata un elemento centrale per tutti gli innovatori: nel cinema, con i chiaro scuro di Friz Lang e gli sguardi illuminati di Buster Keaton, in pittura, con gli scorci psicologici di Caravaggio, con la luce artificiale di Vermeer, e le installazioni neon di Fontana, in architettura con l’apertura alla luce naturale nelle costruzioni di Le Corbusier. E questi sono solo pochi esempi. Eppure per molto tempo, come in altri settori, l’Italia è rimasta indietro nell’uso delle nuove tecnologie e delle infinite risorse legate all’illuminazione. Il nostro immaginario collettivo spaziava in modo limitato dai principeschi lampadari veneziani di Murano, ai neon asettici e asfittici dei garage o dei lampioni delle nostre città, senza dimenticare le abatjour del tinello negli anni 50’. Non per Marco Pollice che è sempre stato al passo coi tempi, facendo ricerca e aggiornamenti costanti.

Per cambiare non solo la funzione ma il modo di illuminare una strada o un museo, una biblioteca o una stanza, è stato necessario coniugare storia e futuro, estetica e progetto, invenzione artistica e tecnologia, ricerca dei materiali e risparmio dei consumi: sono questi gli obiettivi e i presupposti del gruppo di lavoro guidato da Marco Pollice per la sua azienda, in continua evoluzione e perenne consolidamento. In questa orbita e filosofia di fondo, sono stati effettuati progetti illuminotecnici per ambienti privati ed urbani come la Borsa di Istanbul con Aldo Cibic, la Metropolitana 3 di Milano con Claudio Dini, il Portello con Mario Bellini, il Golf Resort Castiglion del Bosco a Montalcino con lo studio Archflorence, ma anche singole abitazioni come la Villa Alberto Alessi con Aldo Rossi o negozi come il flagshipstore per Stuart Weitzman con Zaha Hadid.
L’ultima sfida di Marco Pollice, presentata alla settimana milanese del Design di quest’anno, sono stati i Quadri di Luce, lampade progettate e ideate da Giò Ponti nel 1950 e oggi rieditate in edizione limitata dalla Pollice Illuminazione secondo i disegni originali del grande maestro. Giò Ponti collaborò già in passato per importanti progetti con il nonno Ugo Pollice e oggi Marco riapre il dialogo e ricorda che Giò Ponti ha sempre parlato e sempre inseguito “l’idea di un luogo, di una forma, di una possibilità di perfezione totale, al di là del caos quotidiano, dell’incertezza, dell’oscurità. Oggetti senza peso e senza ombre, un modo di abolire l’arredare e scoprire la luce dell’esistenza”.

Marco Pollice ha collaborato con Antonio Citterio, Bruno Viganò, Aldo Cibic, Norman Foster, Nathalie e Virginie Droulers, Giuseppe e Lazzaro Raboni, Marco Zanuso jr suo punto di forza è la volontà di approfondire sempre più lo scambio professionale e culturale che da qualche anno porta avanti in una prospettiva interdisciplinare con artisti, teorici, designer, architetti, urbanisti, psicologi e tutti coloro che provano ad inventare il futuro, rendendo migliore il presente. Riuscire ad interagire in un progetto, rispettandone le componenti estetico-funzionali, portando un apporto fondamentale come quello dell’illuminazione, comporta implicazioni e variazioni notevoli. I risultati sono sempre stati soddisfacenti da ambo le parti?
Sì, certamente. E’ importante quando si lavora a più teste creare un clima di dialogo e soprattutto di ascolto reciproco. Se non si è disposti ad ascoltare si rimane chiusi in un perimetro ridondante e non esiste possibilità di crescita e di conseguenza anche il progetto ne risentirà. Ho sempre lavorato con soddisfazione con architetti ed artisti la cui elevata professionalità ha agito da elemento di scambio e arricchimento del nostro sapere, portando così alla realizzazione di progetti che rispettavano le competenze e le passioni di ciascuno.

L’artista Nanda Vigo e Lucio Fontana prima di lei, scoprono come materia la luce. Luce che non deve essere più contenuta, circoscritta e incapsulata ma che agisce essa stessa come elemento costruttivo e duttile dello spazio, senza occuparlo. Anche voi avete scoperto la sostanza pregnante e la potenza invisibile della luce?
Io sono cresciuto in una famiglia che dal 1908 ha sempre fatto luce. La luce è materia a tutti gli effetti. Fare esperienza della luce è partecipare ad un evento: è la visione che apre le porte della conoscenza, del nostro sentire interno, del nostro stare bene. La luce partecipa del nostro stato d’animo, produce un mutamento. La luce è materia come la pittura ma immateriale quanto alla sua consistenza. Detto con le parole di Maria Zambrano:“E’ ciò in cui si mostra l’enigma della visione, celebra questo enigma”. La vista è il senso più alto, quello che ha la proprietà di poter toccare pur mantenendosi a distanza, così la luce come mezzo per la vista ha la forza del coinvolgimento di un’esperienza estetica e la potenza di veicolare emozioni. Per questo è tanto fondamentale la scelta di una specifica luce all’interno di ogni luogo in cui l’uomo è previsto come abitante. Con la luce e non di meno con le ombre, posso formare vuoti e pieni, realizzare atmosfere su misura, posso ricreare il ciclo della giornata in ogni suo momento. Consapevole dei profondi effetti che la luce e il colore producono sul tono dell’umore, come light designer so di avere una responsabilità altissima rispetto alla luce che andrò a scegliere, per questo non posso permettermi mai di smettere di studiarla.

L’arredo urbano in Italia è obsoleto e antiquato in quasi tutti i contesti, perfino la Spagna, è in questo senso più avanzata di noi. Le cause sono molteplici, imposizioni burocratiche, ondate di superficialità, la politica del non-cambiamento, incapacità di scegliere e delegare ai migliori designer e architetti che non mancano in Italia. Come siete riusciti a ritagliarvi lo spazio per i vostri interventi, grazie alla committenza dei privati? L’illuminazione del Duomo di Milano è stato un vostro progetto commissionato allora dal Comune di Milano o dallo studio d’architettura che ai tempi si occupava del rinnovo e della ristrutturazione della cattedrale?
Molti dei nostri interventi nei progetti pubblici ci sono stati commissionati direttamente dall’Ente energetico o dal Comune di pertinenza, spesso superando un concorso, altre volte per interesse diretto dell’Ente. Nel caso del Duomo di Milano, l’Ente in causa era l’AEM. Altre volte sono gli architetti stessi che ci coinvolgono per l’intervento di consulenza illuminotecnica. Certo l’arredo urbano in molte città rimane ancora una richiesta che è più un intervento dal sapore del“temporary” e non con un suo fine per la città.

Negli ultimi vent’anni la tutela dell’ambiente, il risparmio energetico e le nuove soluzioni tecniche come le lampade al led a basso consumo sono realtà accertate. Queste prerogative non sono contemplate a dispetto della qualità, della durata e dell’estetica e possono essere impiegate in contesti urbani, come anche in quelli intimi delle abitazioni. In Italia, il precursore per eccellenza è stata Ikea, con i suoi designer svedesi che cercavano di rivoluzionare ma anche trovare una mediazione tra il razionalismo e lo stile mediterraneo. Anche Pollice illuminazione, vuole espandersi in futuro e non rispondere solo ad una sofisticata e ricercata richiesta, necessariamente elitaria e circoscritta?
Noi ci stiamo muovendo in questo senso ormai da anni. Espandersi è già un progetto in progredire ma questo non vuol dire per me rinunciare all’eccellenza, anzi. Un punto fermo che appartiene alla mia cultura è che non si può mai progettare a prescindere dalla qualità. Metto l’essere umano al centro di ogni mio progetto, senza distinzione di budget o metri quadri.
Aumentare la qualità significa risparmiare e il risparmio è sempre ad ampio spettro e comincia proprio dallo scegliere sorgenti innovative ad alta efficienza luminosa e cromatica che permettono di risparmiare fino all’80% sui costi energetici e di manutenzione, e così facendo, posso ridurre il numero dei corpi illuminanti in favore della loro alta qualità e di un sapiente posizionamento degli stessi. Ma poter risparmiare ha anche a che fare con la salute.
Salvaguardando la salute, ad esempio, guadagnerò sulla qualità del lavoro producendo diffuso buon umore, riducendo le assenze da malattia, evitando le pause da affaticamento i disturbi alla vista e di concentrazione, e creando quel generale benessere che porta l’altro ad avvicinarsi ad una vetrina, a desiderare di comprare, ad ascoltare in classe, a mangiare bene, a rilassarsi e via dicendo, a seconda del contesto in cui vive e agisce. Una buona luce dunque stimola e promuove, produce cultura, nutre lo spirito e cura l’umore. Nella nicchia o ad ampio raggio, io agisco comunque sempre con la stessa convinzione di fondo.

Ti diplomi come Art Director in regia cinematografica alla N.Y. University. Solo chi proviene dal cinema e dal potere di creare mondi e storie anche attraverso la luce può trasferire quell’inventiva anche al mondo reale. L’aspetto surreale ed immaginifico, lo stesso che alimentava anche Bruno Munari, si può applicare alla progettazione dell’illuminazione, senza arrivare alle lampade a forma di mitra di Philip Starck?
Sicuramente la luce è una materia straordinaria che ha di per sé quel surreale e immaginifico che alimentava Munari. Quando si parla di luce però, si tende spesso a sottovalutare il ruolo giocato invece dall’ombra. Solo il gioco sapiente di luce e ombra insieme è capace di creare quella dimensione onirica e intensamente emozionante che è caratteristica del cinema e del teatro. In fase di progettazione considero sempre il ruolo di entrambe.

L’architetto ed ingegnere messicano Ramiro Barragan, riconosciuto come maestro internazionale, ha riscoperto la componente araba dell’acqua e ha negato l’utilizzo del vetro, prediligendo forme morbide e i colori intensi della sua tradizione culturale. La luce elemento ancestrale del paesaggio, è stata accolta e valorizzata dai suoi progetti architettonici, per rendere la visione speciale e i riti della quotidianità luminosi. Anche in Italia, risulta fondamentale trovare un’armonia e un equilibrio tra il patrimonio artistico da valorizzare e conservare da una parte, e le nuove tecnologie e le inedite applicazioni progettuali dall’altra, anche a livello d’illuminazione. Puoi fare un esempio dei vostri progetti che sintetizzano questi presupposti?
Quando ci si trova dinanzi a qualcosa che ha già una sua storia, certamente la migliore cosa da fare è calarsi in quella storia, vestirne i panni, conoscerne il luogo e valorizzare quest’appartenenza senza stravolgerla nelle sue linee di fondo ma dando nuovo risalto a ciò che maggiormente la caratterizza e questo è possibile proprio grazie alla tecnologia di oggi in questo campo. Ho imparato via via negli anni che illuminare non è solo far luce, ma significa creare un’atmosfera, indirizzando e guidando questa luce con l’impiego di tutte le tecniche necessarie.

Nel caso di una villa calata nella natura a St. Moritz, abbiamo ricreato un’atmosfera che fosse sincronica con la nostra percezione della notte e del luogo, e per il Golf Resort di Castiglion del Bosco a Montalcino e del suo borgo medievale abbiamo scelto tonalità di colore e intensità luminose che gli somigliassero, restituendo visibilità e valore alla storia di quel luogo, nel rispetto della tradizione. L’utilizzo del moon light, il gioco di luce e ombra, ha decisamente avuto parte rilevante nel progetto.

I nuovi committenti possono essere anche russi o arabi, senza una competenza adeguata e un gusto estetico a volte discutibile. In questi casi rifiutate la committenza o cercate un degno compromesso?
Io non parlerei tanto di gusti ma di stili. Come progettista il mio compito è anche quello di creare, assieme all’architetto, un progetto che è anche un progetto culturale, un progetto nuovo al committente, disegnato su di uno stile preciso, che può spaziare dal minimalismo al classicismo, dal design rigoroso, alla boiserie in legno, dal bianco al colore, ma che è sempre uno stile firmato made in Italy. Noi esportiamo la nostra cultura, il nostro gusto italiano, quello in cui siamo bravi ed è anche quello che il committente si aspetta da noi. Nessun compromesso dunque. Solo buon gusto.

Dopo la laurea americana, hai optato per una specializzazione al Politecnico di Milano in Progettazione Illuminotecnica. Ad un giovane che vuole intraprendere la stessa ricerca e applicazione sulla luce consigli esperienze e conoscenze trasversali all’estero, dopo uno studio approfondito di Storia dell’Arte nel nostro paese?
A quel giovane direi di venire prima da noi. Potremmo aiutarlo a capire quale indirizzo prendere in questo vasto scenario che comprende design, ricerca, salute, arte, filosofia, psicologia. Una volta che le sue idee fossero chiare, potrebbe cominciare un percorso di formazione e poi di specializzazione più mirato. Sicuramente una preparazione in Storia dell’Arte è una buona base da cui partire, ma dipende comunque dagli interessi e dalle inclinazioni personali. Sono fermamente convinto che la cultura sia sempre l’investimento più grande.

Con quale artista o architetto italiano vorresti collaborare in futuro in un progetto comune?
Sono ormai nel settore da molti anni, e ho avuto il privilegio di lavorare sempre con importanti architetti, con molti dei quali ho una collaborazione continuativa. Con l’arch. Florencia Costa sto partecipando ad un interessante progetto per la Biennale di Venezia del 2016, che prevede già un assaggio a maggio, e con Massimo Uberti artista contemporaneo, imparo a leggere la luce nella sua straordinaria dimensione artistica.

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